venerdì 24 gennaio 2014

Orchidea

Le parole sono importanti.
Dire alle persone care quanto lo sono, perché lo sono, farlo spesso, farlo per bene, è necessario, oltre che giusto.
Compiere azioni che dimostrino i sentimenti che ci legano a loro è anche meglio.

Ultimamente il tempo che ho per fare tutto questo è poco, troppo poco.
Mi ritrovo a sentirmi in colpa nel tentativo di non soccombere alla ruota dei giorni uno sull'altro, alla velocità con cui il tempo ha preso ad andare.

Succede, però, di scoprire di avere appigli e ancore impolverati, nascosti sotto il letto, dentro l'armadio o in soffitta, che, al momento giusto, tornano a splendere di luce propria, ti sostengono, ti danno coraggio.

Succede che possono passare i mesi e a volte gli anni senza dirsi una parola, senza raccontarsi nulla, vivendo su binari paralleli e lontanissimi e che poi dal nulla basti un niente e tutto ritorna vivido e forte come l'avevi lasciato.

E ti dà il coraggio e la speranza che cercavi.


Otto mesi senz'acqua, il caldo torrido, l'aria secca dei termosifoni.
Non ti ho guardato neanche, non ti ho buttato chissà perché.
E tu, adesso, non si sa come, fiorisci.

La cura è essenziale, la fiducia e la pazienza lo sono di più.


venerdì 17 gennaio 2014

Tabella di marcia

Metto la sveglia: 6.15 a.m.
Fuori piove, ma ho avuto il buon senso di coprire il sellino della bici con una busta di plastica.
Mi addormento.
Mi sveglio. Mi addormento. Mi sveglio. Guardo l'ora. Presto. Mi addormento. Mi sveglio di nuovo. Presto ancora. Dormicchio. Mi sveglio: 6.10.
Mi alzo.
Cerco di non fare rumore.

Cucina, accendo la luce. Fuori è buio, buio e silenzioso. Caffè-preparazione-piumino pesante.
Guanti, paraorecchie, sciarpa.

6.50. Scendo.
Non piove tanto, dai.
Bici (l'ho fatta riparare apposta la settimana scorsa), bici per forza. Per principio. Con qualunque meteo.
Freddo. Accendo i led, bianco davanti, rosso dietro. Parto.

In giro non c'è quasi nessuno, il tabacchino sta aprendo, stanno montando il mercato, posso pedalare sul marciapiede senza dare fastidio. La strada l'ho provata l'altroieri, bastano dieci-dodici minuti per arrivare a porta susa stazione.
Infatti.
Lego la bici e scendo al binario.
7.19 Freccia bianca per Venezia.

Salgo, mi siedo, provo invano a dormire un po'. Ascolto la radio dal nuovo smartphone.
Guardo, piano piano, il paesaggio riempirsi di luce, la vita del giorno farsi strada con naturalezza.
Arrivo a Milano Centrale alle 8.45. Facciamo 8.50, che quei cinque minuti di ritardo non si negano a nessuno.

Milano non mi piace per nulla.
Dì una cosa di Milano? Mi fa schifo. Vabbè, il Duomo non vale. Quello è bellissimo.
Ma basta.

Corro. Supero tutti, pure sulle scale mobili. Prendo la Metro Verde. 3 fermate per il Politecnico, là c'è l'ufficio. Arrivo: 9.15.
Quasi in tempo dai.

Lavoro.
Lavoro lavoro lavoro.
La mia nuova collega è simpatica e siamo stranamente sulla stessissima lunghezza d'onda.
Ottimo.
Lavoro ancora, faccio la diplomatica, l'esperta, la novellina, l'accomodante, la polemica.
Tutto con abbastanza scioltezza, per essere ancora all'inizio.

17.30. Vado.
Percorso inverso.
Velocizziamo. Cammino-Metro-Stazione-Treno(in ritardo)-Torino-Bici verso casa.

Rientro che sono le 20.30.
Domani di nuovo, daccapo.
Sì ok, solo tre o due giorni a settimana, che c'ho il part-time.

Che dici, va bene?
Stringo i denti, pensando a quanto sarà faticoso, da oggi in avanti.
Sorrido, pensando che questo lavoro è bello, è il mio, me lo devo tenere strettissimo e mi lascia spazio per altro.
Altro che devo trovare, ancora.

Penso che sì, mi va benissimo.

venerdì 10 gennaio 2014

Diesel

Scrivi. Eddai scrivi.
Sì, ok, ma fra un po', quando ho più tempo, quando mi passa il mal di testa, quando, quando.
Sì, ok, ma non adesso, che ho appena spento il computer, che sono appena tornata, che c'ho la casa in disordine.

Scrivi.
Essì, scrivo, vabbè.

Oh, comunque buon anno.
Come dici? Sono passati quanti giorni? Dieci? Ah sì? A me non pare, guarda mi sa che hai preso un abbaglio.

Come Morgana.
Sì, sto leggendo un libro su Avalon e c'è lei che a un certo punto finisce in un mondo parallelo incantato dove le sembra di passare due giorni e invece passano anni, nel mondo reale, e tutti che ne perdono le tracce, Artù, Ginevra, Merlino, Viviana, e dov'è finita Morgana? E che modi sono? E un biglietto poteva lasciarlo.

Vabbè ma poi torna.
E infatti, guarda guarda, sono qui anch'io.

Ma, come dire, in modalità diesel.
Ci metto un po' a carburare.
Ci metto un po' a fare di nuovo l'abitudine a tutto quanto: casa mia, le ore da sola, la prospettiva di una nuova routine che comincerà in pompa magna la prossima settimana e diosolosa cosa vorrà dire, che paura, che paura che ho.

Va bene, lo so, l'albero di natale lo disfo domani, giuringiurello.
E sì, ci proverò col cuore a programmare tutto per i prossimi mesi. Ma non assicuro. Mettiamo le mani avanti.

E le responsabilità, le responsabilità pergiove, dove le mettiamo? 
Suggerirei, circumnavigando il pensiero scurrile che mi era balenato nella testolina, a tutti costoro che nella mia coscienza continuano a martellarmi tale interrogativo, di fare un cfr Zerocalcare, Il demone dell'inadempienza, breve quanto brillante saggio sulla condizione che oggigiorno attanaglia milioni di giovani alle prese con il lavoro allacazzo. Nello specifico, attanaglia me.
Evvabbè, ne usciremo in qualche bizzarro modo.
Sotto pressione, come al solito, confidando nel consueto coup de theatre che mi salva non si sa come ogni volta.
Dici che è perché sono brava? Mah, può essere, me lo ripetono da quando sono nata, suppergiù.
Ma io, che pure ci credo il 90% del tempo, stavolta tentenno e claudico, mannaggia ammè.

Mi sa che devo trovare un corso di training autogeno.