C'è stato il sole.
Un sole che neanche a luglio, neanche nelle cartoline, figurati poi a fine settembre, a Torino.
Ho aperto gli occhi alle sei e mezza (la sveglia sarebbe stata mezzora più tardi), ho aperto la finestra e ho fotografato l'alba.
Tranquilla.
Con un'aura di beatitudine, di allegrezza sulla faccia, negli occhi.
Gente che bussa alla mia stanza, che mi saluta e sorride, gente che mi abbraccia, mi stringe emozionata.
Mi sono impigliata nel vestito da sposa.
Le braccia alte, l'acconciatura già fatta, il vestito bloccato per una cerniera che avevo lasciato tirata su.
Leggero smadonnamento.
Vabbè, passa.
Mi metto il velo.
Eh beh. Sono vestita da sposa. Sono una sposa. Guarda là.
E se mi viene da ridere?
Meglio.
Sì, meglio.
Quando scendo - non senza difficoltà - dall'auto e ti vedo, ti dico ciao, e la banda balcanica comincia a suonare io so che è tutto perfetto, tutto come me l'ero immaginato, mio padre mi guarda mentre avanziamo a braccetto ballicchiando a ritmo e mi dice è bellissimo.
Lo è, è bellissimo.
Ci teniamo per mano, mentre le parole scorrono, parole che hanno il potere di cambiare lo stato delle cose. Che bizzarra magia, questa.
Mi emoziona, questa cornice, ma tutti, tutti, sorridono, perché una cosa così non l'hanno vista mai.
Così allegra, bislacca, fuori dagli schemi, ironica. Così simile a noi.
Che cacchio se siamo belli, oggi.
Ho ballato - resistendo sul tacco tredici - come se fossi a un concerto in un centro sociale, ho fatto ballare grandi e piccoli, incrociando sguardi arresi: se te lo chiede la sposa non puoi dire di no. Figata.
Ho mangiato. Incredibile. Su qualcosa ho pure fatto il bis. Alla faccia di chi dice che gli sposi non mangiano mai al proprio matrimonio.
Ho bevuto, brindato con tutti i colori del vino, e tutte le gradazioni. Nel mio bicchiere e in quello di altri. Fino alla notte, fino a quando non abbiamo salutato tutti, ancora abbracci, ancora sorrisi.
Ho avvolto lo strascico intorno al corpo come un bozzolo per riuscire ad entrare nella tua auto, siamo tornati a casa nostra, che buffo fare le scale e salire in ascensore conciati così, ma tanto è notte, non ci vede nessuno.
Al letto mia madre e tua madre hanno messo le lenzuola che mia nonna mi ha regalato quando ero ancora una bambina, apposta per questa sera.
Mi sa che l'aveva immaginata tutta diversa, all'epoca. Vabbè.
A cose fatte, le cose nuove.
Come mi chiami e come ti chiamo,
i fiori dappertutto per casa
e quel bagliore di oro giallo che lasciamo muovendo le mani.
Un sole che neanche a luglio, neanche nelle cartoline, figurati poi a fine settembre, a Torino.
Ho aperto gli occhi alle sei e mezza (la sveglia sarebbe stata mezzora più tardi), ho aperto la finestra e ho fotografato l'alba.
Tranquilla.
Con un'aura di beatitudine, di allegrezza sulla faccia, negli occhi.
Gente che bussa alla mia stanza, che mi saluta e sorride, gente che mi abbraccia, mi stringe emozionata.
Mi sono impigliata nel vestito da sposa.
Le braccia alte, l'acconciatura già fatta, il vestito bloccato per una cerniera che avevo lasciato tirata su.
Leggero smadonnamento.
Vabbè, passa.
Mi metto il velo.
Eh beh. Sono vestita da sposa. Sono una sposa. Guarda là.
E se mi viene da ridere?
Meglio.
Sì, meglio.
Quando scendo - non senza difficoltà - dall'auto e ti vedo, ti dico ciao, e la banda balcanica comincia a suonare io so che è tutto perfetto, tutto come me l'ero immaginato, mio padre mi guarda mentre avanziamo a braccetto ballicchiando a ritmo e mi dice è bellissimo.
Lo è, è bellissimo.
Ci teniamo per mano, mentre le parole scorrono, parole che hanno il potere di cambiare lo stato delle cose. Che bizzarra magia, questa.
Mi emoziona, questa cornice, ma tutti, tutti, sorridono, perché una cosa così non l'hanno vista mai.
Così allegra, bislacca, fuori dagli schemi, ironica. Così simile a noi.
Che cacchio se siamo belli, oggi.
Ho ballato - resistendo sul tacco tredici - come se fossi a un concerto in un centro sociale, ho fatto ballare grandi e piccoli, incrociando sguardi arresi: se te lo chiede la sposa non puoi dire di no. Figata.
Ho mangiato. Incredibile. Su qualcosa ho pure fatto il bis. Alla faccia di chi dice che gli sposi non mangiano mai al proprio matrimonio.
Ho bevuto, brindato con tutti i colori del vino, e tutte le gradazioni. Nel mio bicchiere e in quello di altri. Fino alla notte, fino a quando non abbiamo salutato tutti, ancora abbracci, ancora sorrisi.
Ho avvolto lo strascico intorno al corpo come un bozzolo per riuscire ad entrare nella tua auto, siamo tornati a casa nostra, che buffo fare le scale e salire in ascensore conciati così, ma tanto è notte, non ci vede nessuno.
Al letto mia madre e tua madre hanno messo le lenzuola che mia nonna mi ha regalato quando ero ancora una bambina, apposta per questa sera.
Mi sa che l'aveva immaginata tutta diversa, all'epoca. Vabbè.
A cose fatte, le cose nuove.
Come mi chiami e come ti chiamo,
i fiori dappertutto per casa
e quel bagliore di oro giallo che lasciamo muovendo le mani.